La scuola oggi deve formare persone che sappiano affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali, presenti e futuri; realizza la propria funzione pubblica quando si impegna a perseguire il successo scolastico di tutti gli studenti, quando riconosce e valorizza le differenze individuali (“tuti abili diversamente”), impedendo che si trasformino in diseguaglianze.
La vera sfida, oggi, consiste nel riuscire a mutare la natura dell’insegnamento, puntando ad incrociare il sapere reale che, al contrario del sapere scolastico, è concreto, intuitivo, pratico, particolare, sociale, flessibile, globale.
L’autonomia scolastica, forte del suo profilo giuridico, propedeutico alla capacità di promuovere e diffondere qualità ed equità, deve allora promuovere, in una logica e prospettiva di sussidiarietà, un modello pro-attivo, secondo il quale alla scuola compete raccordarsi alla domanda sociale, raccoglierla, strutturarla e organizzarla; comporta una organizzazione all’interno della quale l’istituzione scolastica autonoma assume la funzione di nodo che deve saper stabilire un sistema di connessioni, ricco e articolato, con il sistema sociale e il territorio. Quindi, da scuola nel territorio a scuola del territorio (principio della organizzazione reticolare).
È importante quindi superare la rigida e rigorosa separazione delle discipline per giungere a comprendere il complesso, “ciò che è tessuto insieme”, ciò che è globale ed essenziale. La complessità deve diventare un modo di pensare, necessario per giungere a una vera organizzazione del sapere.
Occorre cogliere la realtà come “un mondo di relazioni possibili”, come un contesto le cui parti non si sommano algebricamente, ma interagiscono in maniera non totalmente prevedibile.
L’apprendimento non è un’accumulazione di informazioni, ma diventa una strategia per costruire conoscenza, per costruire significati, per giungere al cambiamento. Apprendere diventa un processo globale, un ri-costruire in base alle proprie esperienze, un ri-significare, un collocare in contesti nuovi.
L’insegnante è la figura che fornisce strumenti, che indica come utilizzare le informazioni, che offre guida e sostegno, che mette al centro il vero (scienza), il bello (arte), il bene (etica), che progetta percorsi significativi per tutte le intelligenze[1].
La scuola che vogliamo è una scuola che non rinuncia a instillare le massime di lucidità (ciò per cui la scuola lavora da sempre, da Aristotele a Freud) – denominare, analizzare, strutturare, gerarchizzare – che riavvicina, riunifica cultura/natura, pensiero/azione, riflessione/manualità, lavoro intellettuale/lavoro manuale, che coinvolge tutti nell’azione educativa, con una maggiore capacità a favorire domande im-pertinenti (principio del nomadismo curioso), che sviluppa creatività, pensiero critico, perseveranza, flessibilità del pensiero, motivazione, affidabilità, autodisciplina, entusiasmo, empatia, coscienza civica, che non discrimina e non seleziona, equa ma non egualitaria (“Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali” diceva Don Milani), una scuola che parte dai bisogni, ma non trascura i sogni, che lavora sui “pieni” e non solo sui “vuoti”.
La scuola oggi non è più la sola agenzia che abbia il compito di accrescere la conoscenza e non è neppure la principale. Per gli adolescenti di oggi le opportunità di apprendimento si sono enormemente moltiplicate, così come si sono molto diversificati gli stili di apprendimento; il problema allora è capire quale sia il rapporto tra ciò che accade dentro e fuori la scuola.
La scuola diventa così luogo di riunificazione dell’esperienza dei nostri ragazzi; si tratta di un problema di senso: “Qual è la conoscenza che perdiamo nell’informazione” e “qual è la saggezza che perdiamo nella conoscenza”[2] perché le informazioni che cadono a pioggia senza essere contestualizzate né ponderate, rappresentano il contrario della conoscenza: sono rumori che si dimenticano il giorno dopo.
“Pensare è cercare da soli (errare), è criticare liberamente ed è dimostrare in maniera autonoma” (J. Piaget). “Pensare, e soprattutto ri-pensare, è mettere a disagio le parole che usiamo e quindi le reti di significato che ne vengono e da cui veniamo” (Fulvio Carmagnola). Infine, “strumento e processo di tutto questo è l’agirpensando, l’atto del comporre una vita nel divenire incessante di un’etica e di un’estetica” (Mary Catherine Bateson).
Il nostro caro amico, e mentore, Walter Fornasa, non perdeva occasione di ricordarci una piccola e semplice verità: l’apprendimento non lascia mai le cose come stanno, l’apprendimento implica sempre il cambiamento.
E questo, per quanto mi riguarda, continua ad essere un principio guida che orienta la mia personale azione e di conseguenza l’indirizzo che mi impegno a trasferire a tutti coloro che operano e opereranno in questa Istituzione.
Il Dirigente Scolastico
Luciano Mastrorocco
[1] Teoria delle intelligenze multiple – Gardner
[2] T.S. Eliot